di Elisabetta Volpi
Musica celestiale e diffusa, luce tenue e profumo di fiori, cinguettii e dolci brezze.. Questo è ciò che viene in mente quando si pensa alla “Primavera” di Botticelli in effetti è questa l’immagine che l’artista ci propone in uno dei capolavori più belli e famosi del Rinascimento Italiano.
La Primavera di Sandro Botticelli, dipinta tra il 1477 e il 1482, è conservata oggi nelle Gallerie degli Uffizi a Firenze. Il dipinto cela molti misteri e molti furono gli studiosi che ne interpretarono i personaggi e l’ambientazione.
Analisi dell’opera
Botticelli ritrae una Venere ambientata in un ombroso aranceto, il cui suolo è caratterizzato da un prato disseminato di fiori e di altre specie vegetali, caratteristiche delle campagne fiorentine tra marzo e maggio, mentre sullo sfondo si staglia un cielo azzurrino. Partendo da destra, il primo atto della scena si apre con Zefiro, il dio del vento primaverile che soffia da Ponente, che irrompe nel giardino con un impeto tale da costringere gli alberi a curvarsi. Dopo un inseguimento, il dio raggiunge e avvolge la ninfa Clori. Insieme rappresentano un amore sensuale, carnale e irrazionale. La ninfa è avvolta in un abito trasparente e guarda Zefiro impaurita. Risultato di questa unione è la metamorfosi di Clori in Flora, dea della fioritura e della bella stagione. Flora incede leggiadra e sicura nel suo abito riccamente fiorito, spargendo lungo il suo cammino le Rose.
La scena centrale è la raffigurazione di Venere incorniciata da una siepe di Mirto, pianta a lei sacra. La dea indossa un drappo rosso i cui risvolti svelano l’interno celeste e oro; questi sono i colori simbolici di Venere Humanitas, capace di dirigere il desiderio verso un amore spirituale. Dalla sua posizione, Venere separa i sensi e gli amori materiali (destra) dai valori spirituali (simboleggiati dalle Grazie e da Mercurio). Sul capo della dea plana Cupido bendato, nell’atto di scagliare una freccia verso una delle Tre Grazie. La fiamma sulla punta del dardo simboleggia la passione dell’amore da lui suscitato. Venere sorveglia, dirige e asseconda gli eventi.
Le Tre Grazie, accompagnatrici di Venere, danzano un girotondo, di cui colpisce l’elegante intreccio delle mani, mentre le vesti evocano il ritmo della danza. La figura centrale è Grazia verso cui Cupido sta puntando la freccia. Quest’ultima, distraendosi dalla danza, sembra fissare Mercurio, poco distante. La scena si chiude con Mercurio, il messaggero degli dei. Lo si riconosce dai calzari alati e dal caduceo, la verga attorno alla quale sono avvolti due serpenti. Nel dipinto botticelliano, Mercurio dissolve con la verga alcune nuvole, divenendo così il guardiano del giardino in cui serenità e primavera regnano sovrane. In sintesi, Zefiro e Clori rappresenterebbero l’amore sensuale e irrazionale, che è però fonte di vita (Flora) e, mediante Venere e Cupido, si trasforma in qualcosa di più perfetto (le Grazie), per poi spiccare il volo verso le Sfere Celesti guidato da Mercurio.
Le principali specie vegetali
La Primavera di Botticelli non rappresenta solo l’amore, ma è un meraviglioso catalogo botanico, date le svariate centinaia di specie vegetali del periodo primaverile. Una così cospicua presenza di piante risponde a diverse esigenze: la prima è quella di circoscrivere il periodo dell’anno oggetto dell’opera, perché le specie rappresentate fioriscono, crescono e germogliano in primavera. La seconda è suggerire rimandi simbolici. Vediamo quali sono i vegetali che Botticelli ha rappresentato nella sua Primavera e quali i loro eventuali significati. Nel dipinto sono presenti circa 500 esemplari vegetali, dei quali una settantina appartenenti alle Famiglie delle Graminacee e delle Ciperacee. I restanti si dividono in piante non fiorite (circa 240 esemplari) e piante fiorite. Di queste ultime, possiamo identificare 138 esemplari riconducibili a 28 specie. Le due specie più numerose sono le Margherite e le Viole: due fiori che crescono spontanei nei prati in primavera e sono quanto mai emblematici della bella stagione. La Margherita simboleggia l’amore ricambiato, mentre la Viola, in quanto fiore sacro a Venere, rappresenta la bellezza per eccellenza.
Nel quadro sono presenti diverse specie ai piedi della Venere, dove le Rose la fanno da padrone: sono quelle che Flora, la personificazione della primavera, porta in grembo e sta spargendo sul prato. La Rosa era un fiore sacro a Venere, associato all’amore e alla bellezza. Sempre sotto i piedi della dea della bellezza troviamo un fiore di Elleboro: si riteneva che i fiori di questa pianta prolungassero la giovinezza, ma anche che fossero in grado di curare la follia, visto che era noto come l’amore potesse indurre in tale stato d’alterazione. A fianco dell’Elleboro troviamo alcuni fiori di Viperina azzurra, chiamata così probabilmente perché in antichità ritenuta un rimedio al morso del serpente da cui prende nome: è una pianta che fiorisce agli inizi di maggio. Lo stesso vale per la Camomilla, anch’essa di fianco all’Elleboro. Vicino alla Viperina, è inoltre presente il Ranuncolo, simbolo di morte. Più in basso abbiamo invece alcuni fiori di Tossilaggine, mentre se procediamo verso i piedi di Flora noteremo una piantina di Fragole, simbolo di piacere, e una pianta di Muscari (simbolo coniugale). Più in alto un Giacinto rosa (fiore nuziale) e un Papavero che rappresenta la fertilità. Tra il piede sinistro di Venere e il manto di Flora abbiamo invece una piantina di Fiordaliso, altro simbolo d’amore, in particolare legato al matrimonio. Procedendo invece in senso opposto, verso i piedi delle Tre Grazie, troviamo alcuni fiori di Gelsomino, fiore che si schiude nel mese di maggio.
Notiamo poi il cespuglio di Mirto alle spalle della dea Venere, e la Cicoria tra la dea Venere e la Grazia alla sua destra: l‘azzurro dei Fiori ha fatto nascere la leggenda che essi abbiano il colore degli occhi di una giovane che piange il suo amato partito per un viaggio senza ritorno. Le Piante sulla veste e sulla chioma di Flora sono: Margherita, Anemone, Fragola, Fiordaliso, Rosa, Garofano, Violacciocca, mentre la sua veste è riccamente decorata da Fiordalisi. La porzione del prato accanto al piede proteso in avanti di Flora comprende il Capelvenere, che simboleggia l’amore che non si ferma davanti alle avversità, e il Papavero. Davanti ai piedi di Flora compaiono la Nigella, la Fragola, i Muscari, la Farfara. Le Piante che fuoriescono dalla bocca di Clori sono: Pervinca, Fragola, Rosa, Anemone e Fiordaliso. I fiori d’Anemone hanno sempre avuto un significato malinconico: per gli Egizi erano simbolo di malattia; mentre presso gli antichi Etruschi erano considerati i fiori dei morti, e tuttora le più vaste distese di Anemone coronaria, dai fiori color azzurro pallido, rivestono le necropoli etrusche situate nei dintorni di Tarquinia.
Tra le fronde degli Aranci si scorgono piante di Tasso e Mirto. Davanti al piede proteso di Clori vediamo dei Non-ti-scordar-di-me, simbolo di delicata bellezza. In alto, all’estrema destra del dipinto, sopra Zefiro, si vedono delle piante di Alloro, ritenuto fin dall’antichità il simbolo della gloria. Corone d’Alloro venivano poste sul capo ai vincitori delle guerre, dei certami poetici e delle Olimpiadi, o ancora agli Imperatori. Questo arbusto dal portamento elegante era considerato anche ‘Pianta del Sole’, e come tale posto nei giardini, a tutela delle abitazioni, nella speranza che venissero risparmiate dai fulmini. In basso a destra, davanti ai piedi di Clori, sboccia una bellissima pianta di Iris, che simboleggia l’assoluta fiducia, l’affetto dell’amicizia, il trionfo della verità, ma soprattutto la saggezza e la promessa della speranza. Nella Primavera si ritrovano le caratteristiche tipiche dell’arte di Botticelli: la ricerca dell’Armonia e del Bello ideale, il ricorso al disegno e alla linea di contorno che creano profili perfetti, pose sinuose, gesti misurati. Botticelli concentra la sua attenzione sulla descrizione dei personaggi e sulle specie vegetali mentre riserva minore cura agli alberi e agli arbusti che fungono da quinta. Lo sfondo scuro permette alle figure di spiccare luminose. Il sapiente uso del colore, la cura dei dettagli naturalistici, la musicalità delle figure, la poesia del tutto hanno reso questo dipinto uno dei più grandi capolavori del glorioso Rinascimento italiano.
I cosmetici nel Rinascimento
Con l’avvento del Rinascimento, la bellezza iniziò ad assumere un’impostazione più moderna e la figura minuta e spenta della donna medievale venne progressivamente sostituita da quella di una donna dalle forme più arrotondate e sinuose, con occhi scuri e carnagione più calda. La ripresa del commercio delle spezie esotiche favorì la ricomparsa dei profumi. Verso la fine del Quattrocento Caterina Sforza compose uno dei primi ricettari interamente dedicati alla cosmesi, formato da oltre 500 capitoli relativi ai più svariati prodotti e trattamenti: sbocciava, così, la letteratura dei ‘Segreti’, i manuali di bellezza scritti a mano e tramandati di madre in figlia presso le corti rinascimentali. Gli ingredienti cosmetici, a quei tempi, avevano un carattere prevalentemente magico-simbolico e la scelta delle fonti naturali da cui estrarli era effettuata sulla base di concetti ‘signaturistici’, secondo cui la forma, il colore, la struttura o il comportamento di un animale o di una pianta ne avrebbero suggerito l’indicazione terapeutica o l’attività cosmetica. Di qui la spiegazione sull’utilizzo indiscriminato di salamandre, pipistrelli, scorpioni, vipere, ma anche di teste di lepre, zampe di cane, mandibole di luccio… Così le radici rigogliose di alcune piante erano considerate efficaci rimedi contro la caduta dei capelli, mentre il latte di capra, mescolato con il grasso di orso, era utilizzato per farli ricrescere, o ancora la pelle di serpente era consigliata per aumentare il rinnovamento epidermico e mantenere la pelle fresca e giovane. Nonostante la stravaganza di questi singolari ingredienti, non mancano esempi di prodotti particolarmente attuali, che sono ancora presenti nelle moderne formulazioni.
La raccolta delle erbe officinali spontanee
Il Medioevo è stato il periodo buio della Medicina ma la salvezza è da ricercare nel coraggio delle streghe, le curatrici, le raccoglitrici medioevali che uscivano all’imbrunire, alla caccia di piante che potessero dare rimedio ai malati. Non da meno importanti furono i monaci e la creazione degli ‘orti dei semplici’ per la cura dei malati tramite gli infusi erboristici. Nel Rinascimento la pratica della raccolta di erbe spontanee si fece viva e utile alla scoperta di nuove piante curative ed alimentari. Nell’Età Industriale i raccoglitori iniziano ad essere una figura di riferimento come esperti botanici e vennero stipendiati dalle prime aziende farmaceutiche per la raccolta di piante selvatiche utili alla creazioni di preparati erboristici.