a cura di Elisabetta Volpi
Suggestioni, emozioni, visioni cerebrali dall’inguaribile carica seduttiva e generate da un’artista “divina”. Una creatura nobile, una donna eccentrica, un’artista sublime, che incarnò la raffinatezza blasonata dell’Art Déco, facendola propria e riscrivendola con il suo inconfondibile charme, fino a divenirne la rappresentazione iconica più autentica.
Non soltanto secolo di conflitti, ideologie e totalitarismi, il Novecento è stato anche il secolo delle donne, che a partire dal primo Dopoguerra hanno conquistato spazi sempre maggiori nel contesto sociale, economico e politico, passando anche per il Femminismo degli anni Settanta. Ma nella prima metà del secolo scorso, ancora in pochi avevano valutato appieno la portata di quei cambiamenti sociali. Anche fra gli artisti, pochissimi furono quelli che intuirono i nuovi tempi, e seppero immortalarli sulla tela, dopo essersi pienamente calati nel contesto che vivevano ogni giorno.
Nel campo dell’arte al femminile c’è senza dubbio lei: Cerco di vivere e creare in modo tale da imprimere, sia alla mia vita, sia alle mie opere, il marchio dei tempi moderni. Lo scrisse la pittrice Tamara Rosalia Gurwik-Górska (1898-1980), meglio nota come Tamara de Lempicka, fra le più attente e sensibili figure Novecentesche che abbiano raccontato la nuova femminilità.
Il Modernismo al femminile
Trasgressione, raffinatezza, mistero, modernità, divismo: tutto ciò è Tamara de Lempicka, la donna che ha trasformato la sua identità sfuggendo la banalità, che ha “decorato” la sua vita perché, così come nell’arte, “a contare è la forma”, che ha sedotto con le sue sregolatezze snobbando avances anche di personaggi come Gabriele D’Annunzio (da lei definito “nano italiano”). È l’emblema dei “ruggenti anni Venti” e di quel gusto estetico definito Art Déco che caratterizzò l’Europa e gli USA fino agli anni Trenta. L’Art Déco era uno stile energico, plastico, mondano, simbolo della filosofia anticonformista della ricca borghesia dedita a feste e con una vita sempre al limite, così come è dipinta nel contemporaneo “Il Grande Gatsby” di Francis Scott Fitzgerald, conseguenza dell’esorcizzazione dei demoni della Prima Guerra Mondiale. I caratteri erano mutuati dall’Antica Arte Egizia, Cinese e Precolombiana, dal Cubismo e dal Futurismo, rivelandone la maggiore espressione soprattutto nelle arti decorative.
Tamara impersonava tutto questo e anche di più. Avvicinatasi all’arte prima come disegnatrice di cappelli e poi come pittrice, riversava nei soggetti dei suoi quadri tutte le sfaccettature della sua esistenza “di confine”. La sua arte è fortemente visiva ed è caratterizzata da una potente costruzione scultorea delle figure, sempre cariche di tensione, tormentate, romantiche e apparentemente statiche. Prediligeva le figure femminili e ogni volto parlava di lei, delle sue diverse sfumature e delle donne emancipate, eleganti come modelle (fu indossatrice). Le tratteggiava tinte dell’eroticità del rossetto rosso che spiccava sui volti (tanto che la Revlon nel 1930 le chiese di collaborare per la produzione di un lipstick) e con pelle diafana, soffici onde carrè, ciglia lunghe e finte. “Sono stata la prima donna a dipingere in maniera chiara e pulita: questo è il mio segreto” diceva, e ancora “Tra centinaia di quadri, riconoscerai il mio, perché la mia pittura affascina le persone”.
Le sue opere sono una sintesi della sua personalità. Le sue pennellate dai colori forti, a volte sfumati a volte saturi, dal bianco al grigio, dal viola al rosso, al tipico blu Lempickiano, passando per il verde, sono divenute nuances per ombretti. Affascinano le sue donne sensuali, glamour, ma dall’animo combattente, curiose, abili conoscitrici del mondo, spesso raffigurate con un libro in mano. Il potere è nella bellezza e nella cultura. Tamara è una donna “virile”, autonoma. Ogni donna deve conservare tratti maschili, anche se è presente una nota malinconica, triste, intima, rivelata dallo sguardo e dagli occhi e incorniciata dai pochi e decisi colori della sua tavolozza.