a cura di Silvia Fossati
“Oggi mi metto sotto: invece che due chilometri ne faccio dieci“. Quante volte abbiamo ragionato così sul tapis roulant in palestra, sperando di perdere qualche centimetro in più…
E invece i risultati, in termini di chili persi, sono stati ben scarsi, mentre il sudore, il fiatone e la stanchezza superavano di molto le nostre capacità di sopportazione. Dietro a questo episodio s’intravede un modo di fare molto comune: per ottenere un cambiamento si “fa di più”, ovvero si intensifica l’azione che ci aveva dato un qualche risultato. Gli esempi intorno a noi sono molti. Quando arriva l’inverno e la temperatura inizia a scendere, gli ambienti devono essere riscaldati e si deve uscire con abiti pesanti, per proteggere il corpo dal freddo. Se comincia a fare ancora più freddo bisognerà vestirsi ancora di più e riscaldare maggiormente i locali, in modo da ristabilire un equilibrio. Questa soluzione, logica e semplice, viene applicata non solo nella vita quotidiana, ma si ritrova anche alla base di moltissime discipline economiche, scientifiche e sociali. In alcuni casi, però, questa strategia non funziona così bene.
L’alcolismo, ad esempio, rappresenta una vera piaga sociale. È necessario quindi porre un freno al consumo di alcolici. In un determinato periodo storico le autorità intervennero più duramente di prima, ricorrendo a un inasprimento delle leggi estremo, come il proibizionismo. Con queste misure il problema però si aggravava, la percentuale di alcolisti rimaneva sempre elevata, ma occorreva in più fare fronte ai problemi creati dal contrabbando, dalla corruzione e dalle lotte tra bande rivali. L’imporre le leggi più severamente di prima non aveva portato a un miglioramento, ma anzi, aveva contribuito ad accrescere il problema.
Ecco quindi come la corsa a perdifiato in palestra si tramuta in una trappola frustrante: non si cancellano i chili accumulati in anni di cattiva alimentazione raddoppiando o triplicando i chilometri percorsi. E tanto meno non basta allenarsi più a lungo per tornare con il “sederino” di una ventenne. Se la strategia, insieme a quella del movimento fisico, non comprende altri tipi d’intervento – tra cui anche il prendere coscienza dei vantaggi dell’età matura – l’accanirsi non produrrà altro che ansia e frustrazione.
Lo stesso, purtroppo, accade anche nel mondo del lavoro, e coloro che esercitano una professione in proprio lo sanno bene. lo, ad esempio, devo documentarmi per scrivere un articolo. Ma se alla mattina la mia mente è fresca e lucida e questo lavoro lo svolgo agilmente, già nel tardo pomeriggio per avere gli stessi risultati impiegherei il doppio del tempo. Quante parole ho scritto fino ad ora? Molte: ma se andassi avanti a scrivere fino a domattina le mie ultime cartelle non avrebbero la stessa scorrevolezza e ispirazione delle prime. È comune osservare che alcuni tipi di lavoro possono essere eseguiti al meglio solo per un certo numero di ore di seguito. Non di più. Alcuni mestieri, come il pilota d’aereo o il chirurgo, entrambi con la responsabilità di vite umane, tengono sempre presente questa realtà. Rendersi bene conto della necessità del riposo aiuta in tutti quei momenti in cui, senza quasi accorgersene, per fare “di più” si finisce a non preoccuparsi di fare “meglio”. Ed è un errore enorme non occuparsi della qualità. Ricordate che se la quantità è una dote di molti, la qualità lo è di pochi, e che ad essa bisogna tendere.
Il rapporto tra quantità e qualità ha pure dei risvolti economici. Non mi stancherò mai di ripeterlo: un’estetista rimane solo una mera operatrice manuale se non s’impegna. Mi riferisco all’impegnarsi non con la fatica in sé per sé, ma con la fantasia. Se tutte le estetiste di questo mondo facessero lo stesso identico servizio nello stesso modo e nello stesso ambiente, l’unico fattore con cui potrebbero convincere un cliente a venire da loro sarebbe quello di abbassare il prezzo. Ma mantenere un centro estetico, pagare consumi e collaboratori, ha dei costi. Riducendo le tariffe, a un certo punto, il guadagno scenderebbe così tanto che l’unico modo per tenere in piedi l’impresa sarebbe quello di trattare un numero sempre più elevato di clienti. Tempi ancora più veloci, quindi, trattamenti limitati o addirittura incompleti. Soddisfazione? Nessuna. Nevrosi? Tanta.
L’alternativa è semplice: trasformare i propri servizi in esperienze. Ad esempio imparando con impegno un qualche tipo di trattamento particolare; magari in un settore dell’estetica poco comune, ma comunque caratterizzato dal fatto che piaccia veramente, che lo si studi e lo si pratichi con piacere e senza fatica. Un trattamento unico, pensato, realizzato e proposto nel migliore dei modi, può essere praticato a tariffe più elevate della media. Tutti noi, per avere un servizio particolare, siamo disposti a spendere qualche euro in più. E quell’euro in più andrà a ricompensare il tempo necessario allo studio e alla preparazione di quel particolare trattamento, che pochi sanno eseguire e comunque nessuno con la nostra “firma esperienziale”. Risultato: maggior guadagno, minore necessità di effettuare elevati numeri di servizi durante il giorno, quindi lavoro meno stressante e – perché no? – maggiore soddisfazione e fiducia in noi stessi, oltre che da parte dei nostri clienti.
Le convinzioni rappresentano una delle maggiori strutture del pensiero umano. Purtroppo è difficile distinguere le convinzioni che ci rendono la vita facile e ci aiutano, da quelle nocive che ci limitano e ostacolano. La coscienza che la vita sia dura, richieda continui sacrifici e che ogni successo debba essere pagato a caro prezzo, spesso ci può indurre a compiere degli errori. Impegno e sforzi vanno pianificati e ragionati con calma, serenità e spirito intraprendente: se non riflettiamo bene la maggior parte delle volte sprechiamo solo molte energie, per poi ottenere risultati minimi. Sta all’estetista “di qualità” la ricerca delle soluzioni giuste per se stessa e per la propria attività, in modo da poter sempre coniugare il lavoro con il piacere di farlo bene.